Presentazione della conferenza “Noi, Homo sapiens”
Tre anni fa avevo introdotto questo ciclo di conferenze che si prefiggono di fornire una panoramica generale sulle specie umane dall’inizio del genere Homo fino a noi.
Nella prima conferenza (2014) ci eravamo concentrati soprattutto sulla comparsa intorno a 2,8 milioni di anni fa delle prime specie umane in relazione a forti cambiamenti climatici. Alcune specie costituivano ancora una via di mezzo tra gli Umani e gli Australopiteci (Homo rudolfensis, H. habilis), altre erano già più o meno strettamente umane (H. naledi, H. ergaster, H. floresiensis, H. georgicus, H. erectus, H. antecessor). Tra queste di gran lunga la più importante fu H. ergaster. In due milioni di anni ci sono state solo due invenzioni, riguardanti entrambe la lavorazione della pietra. In conclusione questo primo cespuglio di specie ha contribuito a dare una forma al genere Homo, ma era ancora l’abbozzo. La pienezza è emersa solo con le specie successive: H. heidelbergensis, “figlio” di Homo ergaster e nostro “padre”, H. neanderthalensis, nostro “fratello”, e H. sapiens, cioè la nostra specie.
Nella seconda conferenza (2015) si è fortemente sottolineato che è con H. heidelbergensis (cioè con l’Uomo di Heidelberg, vissuto da 800-700 fino a forse 80mila anni fa) che si è verificata una vera impennata mentale che ha avvicinato il genere Homo fortemente a noi. Si sono descritte le numerosissime e profonde innovazioni comparse con lui in 200-300mila anni nella lavorazione degli strumenti in pietra, nelle lance e nei giavellotti (compresi quelli compositi), nelle asce immanicate, nell’uso del fuoco per illuminare, scaldare e cuocere, oltre che per scopi tecnologici (tra cui l’estrazione della pece), nella costruzione di capanne e infine nei primissimi segni artistici. L’Uomo di Heidelberg si è inventato la prima tecnica di produzione in serie e il primo metodo chimico.
Nella terza conferenza (2016) ci si è concentrati sull’Uomo di Neandertal, vissuto tra 250 e 40mila anni fa, il primo uomo che è vissuto e sopravvissuto nei freddi intensi dei periodi glaciali. Tutte le specie umane precedenti erano vissute in climi caldi o temperato-caldi. L’Uomo di Neandertal ha usato ampliamente tutte le invenzioni di suo”padre”, l’Uomo di Heidelberg, applicandole con molta più costanza nella quotidianità. Benché solo onesto artigiano e non grande inventore, in circa 200mila anni ha portato su questa Terra: una nuova tecnologia su osso invece che su pietra, il riparo in grotte e la loro organizzazione, un certo tipo particolare di capanne, l’uso abituale del fuoco e delle lance composite, le piante medicinali, l’uso di calzature e vestiti, il seppellimento dei morti e il primo sentimento religioso, un certo livello di ornamento personale a base di segni colorati, penne, collane di conchiglie, di denti, di artigli d’aquila e infine, forse (un forse da sottolineare), il primo flauto e la musica. Malgrado tutto, dunque, non poco. Ed ecco che nel nostre esame delle specie umane siamo arrivati alla nostra specie, a noi, Homo sapiens. La sua comparsa sarà l’oggetto di questa nuova serata dedicata al genere Homo.
Dario Cremaschi è stato Professore Ordinario di Fisiologia Generale presso l’Università degli Studi di Milano (Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali). Ha studiato alcuni dei funzionamenti di base degli esseri viventi (trasporti di ioni, acqua e sostanze organiche attraverso le membrane biologiche) alla luce dei principi sia chimico-fisici sia evoluzionistici. È stato referee di numerosissime riviste internazionali, oltre che dei piani scientifici dell’Unione Europea. È autore di più di 200 articoli scientifici (in gran parte su primarie riviste internazionali) e di 3 libri di fisiologia.